[«L’Huffington Post», 14 marzo 2016]
La rivelazione dell’identità della scrittrice Elena Ferrante da parte di Marco Santagata campeggia nei giornali della domenica. L’argomento, devo confessarlo, non mi appassiona particolarmente, ma siccome la giornata è grigia e invita all’indolenza, indugio a leggere le reazioni alla notizia che compaiono nella rete. Nella pagina Facebook di Santagata, aperta a tutti, si moltiplicano i commenti di elogio e di biasimo. Niente di più normale.
Tuttavia, tra questi commenti ce n’è uno che sembra fatto apposta per attirare l’attenzione della svagata lettrice: “Lo confesso: Elena Ferrante sono io. Le ambientazioni e i dettagli pisani sono frutto dei ricordi di mia madre, Marcella Marmo, mentre il resto (e la penna ‘letteraria’) sono miei. Marco Santagata che ne dice di questa pista?” È postato da Arianna Sacerdoti, figlia della Marmo, la quale scrive, con marcata ironia, per smentire l’ipotesi di Santagata su sua madre.
Ma la smentita, che nell’ambiente giornalistico è nota per essere “una notizia data due volte”, in questo caso ha l’aria di essere molto di più.
Che modo curioso di sviare i sospetti dalla propria madre è questo di assumere su di sé l’autorialità dei romanzi!
Arianna insiste: “Chi può testimoniare che scrivo da quando avevo tre anni e poi ininterrottamente? Come avrebbe scritto qualcuno ‘Elena Ferrante sono io'”. Per difenderla, Arianna sembra addirittura negare le capacità narrative della madre: “Mamma è l’unica in famiglia a dichiararsi (ed essere) ‘analitica’ e non creativa (è nelle interviste, non invento niente – semmai confermo)”.
Anche questa affermazione mi incuriosisce: navigo un po’ in rete e scopro che sì, tutti in famiglia possiedono doti letterarie e artistiche: il prozio era nientemeno che Carlo Levi, l’autore di “Cristo si è fermato a Eboli”; il padre, oltre a essere un grande medico, era anche valente pittore. Per non parlare degli altri parenti, come conferma la stessa Marmo in un’intervista: “Ricordo un’estate ad Alassio, tutti si dedicavano a un’arte. Mia suocera mi chiese: ‘E tu?’ Le risposi: ‘Posso fare una frittata'” Tutti artisti, dunque, tranne la maggiore indiziata: la mamma, appunto.
Torno a leggere il post di Arianna, che si spinge oltre e arriva ad adombrare – sempre sotto la figura retorica dell’ironia, naturalmente – una scrittura a quattro mani con la madre: “La ‘soluzione a p. 5’ rimanda infatti a mia madre, senza ipotizzare il ‘lavoro di squadra’ con la sua figlia latinista, scrittrice, poetessa e traduttrice”. Apprendiamo così che la figlia della presunta Elena Ferrante fa la latinista, proprio come studia letteratura latina Elena Greco, protagonista di “Storia del nuovo cognome”, ed è autrice di racconti, poesie e anche un libro di favole per bambini, “Le sognanti avventure di Carciofino”, come la stessa Elena Ferrante, del resto, che per i bambini ha scritto “La spiaggia di notte”.
Il curriculum, naturalmente pubblico, di Arianna Sacerdoti, ci dice che è nata nel 1979, e che dunque non potrebbe certamente essere l’autrice del primo libro della Ferrante, l”Amore molesto”, uscito nel 1992, quando lei aveva quattordici anni. Però gli elementi che lei stessa ci fornisce spingono incredibilmente verso la sua famiglia.
Fra le cose interessanti, leggiamo che Arianna ha studiato a Toronto nell’autunno del 2005. Apro un romanzo di Elena Ferrante e leggo: “Quando le mie figlie si trasferirono a Toronto […] scoprii con imbarazzata meraviglia che non provavo alcun dolore, ma mi sentivo leggera come se solo allora le avessi definitivamente messe al mondo. Per la prima volta in quasi venticinque anni non avvertii più l’ansia di dovermi curare di loro”. Il romanzo è “La figlia oscura”, pubblicato, guarda caso, nel 2006, e racconta, in un gioco di specchi e controfigure, il rapporto complesso che lega madri e figlie: “Mi cercavano spesso anche loro, in particolare Bianca che aveva con me un rapporto più imperiosamente esigente, ma soltanto per sapere se le scarpe blu stavano bene con una gonna arancione, se potevo rintracciare certi fogli lasciati in un libro e spedirglieli con urgenza, se ero sempre disposta a lasciarmi scaricare addosso le loro rabbie, le infelicità, malgrado i continenti diversi e il cielo lungo che ci separava.”
La svagata lettrice, a questo punto, anche senza volerlo, si appassiona a questo rapporto madre-figlia, che sembra oscillare tra la letteratura e la realtà. E nota che la protagonista della “Figlia oscura” fa la docente universitaria, come la professoressa Marmo (“Correggevo di notte le tesi degli studenti ascoltando musica […] All’università i giovani troppo stupidi e quelli troppo intelligenti smisero di stizzirmi”).
Coincidenze, certo. Ma giunta a questo punto la lettrice domenicale ha la netta impressione che se si proseguisse nella ricerca delle corrispondenze tra i romanzi della Ferrante e la realtà familiare dell’autrice seguendo l’ipotesi di Santagata, le coincidenze potrebbero risultare davvero numerose.
L’ora volge alla sera e chiudo libri e Facebook con un semplice pensiero: la famiglia Sacerdoti-Marmo è tra le più stimate della Napoli della cultura e ha tutto il diritto di rivendicare la propria privacy ma, certo, il talento, vuoi artistico, vuoi letterario – come giustamente rivendica Arianna – tra di loro abbonda proprio, eh…