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Il cinema del reale di Cecilia Mangini

[«L’Huffington Post», 30 marzo 2016]

La Clef, nel 5ème arrondissement di Parigi, è un piccolo cinema d’essai che dedica volentieri rassegne al cinema italiano. Lo frequenta una nicchia di amatori che si ritrova alla spicciolata come si fa in un gruppo di amici. Qui va in scena l’anteprima del Festival di cinema italiano Terra di cinema, giunto alla XVI edizione, che aprirà i battenti il 30 marzo. Curata da Irene Mordiglia e dagli studenti di Paris III, la serata propone sette cortometraggi di Cecilia Mangini, presente come ospite della serata.

Cecilia Mangini è una bella ed elegante signora che ha mantenuto la magrezza e la risata della gioventù. È stata la prima donna a girare documentari artistici nel secondo Dopoguerra e ha fatto la storia del cinema italiano. Incontrarla lascia un’emozione profonda, come guardare il volto fiero dell’Italia di una volta: diritta come un fuso a sdegno della curvatura sulle spalle, pantaloni neri e borsa di pelle a tracolla, mantiene intera la sua vitalità d’artista.

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Se la Scala manda alla Baggina Helmut Lachenmann

[L’Huffington Post, 23 maggio 2014]

Lunedì 19 maggio alla Scala è andato in scena l’ultimo dei concerti di Maurizio Pollini dedicati nella stagione alle sonate di Beethoven. Immaginate il teatro pieno, i palchi completi e le gallerie zeppe di gente che si sporgeva trepidando nell’attesa di ascoltare il tocco leggero del grande pianista. “Prima, però, bisogna sopportare la penitenza”, commentavano vicino a me. Già, perché, come negli appuntamenti precedenti, una parte del concerto era dedicata alla musica contemporanea.

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Di Roberto Bolle, di Michelangelo e del binocolo prismatico. Resoconto semiserio di un’esperienza estetica

[«Generazione Goldrake», 8 novembre 2013]
«La Colombina sostiene che il culo di Bolle parla cinque lingue e tutte madrelingua».
«Sì, adesso però smettila, non è il caso di fare i grevi, che siamo anche seduti in platea».
«Guarda che la Colombina non dice mai stupidaggini».
Il sipario si apre provvidenziale mentre una sciura comincia a guardarci di sbieco. Va in scena L’histoire de Manon con Roberto Bolle e Svetlana Zakharova. Trovo subito deliziosi la scenografia e i costumi settecenteschi. La coreografia di Kenneth MacMillan, ripresa da Karl Burnett, è molto espressiva e ha invenzioni di autentica originalità. Il corpo di ballo, con punte di eccellenza, riesce a disegnare convincenti scene di gruppo nei balli delle cortigiane e delle prostitute.Adesso Bolle, che è stato a lungo in disparte, seduto con un libro in mano nella posa tipica delle figurine di Hogarth, balla da solo con un’armonia e una potenza che si distendono dalla punta del piede al polso ripiegato della mano. Il suo corpo ha una struttura muscolare che sovrasta gli altri ballerini. Non possiedo particolari attitudini voyeuristiche, ma il mio amico Mauro mi ha regalato un binocolino prismatico capace di ingrandire un numero spropositato di volte. Lui usa quello di suo nonno, che ingrandisce meno, ma è un cimelio di famiglia al quale è affezionato. Fatico un po’ a mettere a fuoco, perché devo regolare anche la rotellina che compensa la miopia (un vero portento). Quando alla fine ci riesco, il suono dell’orchestra si attutisce e comincio a udire pian piano un parlar figurato di tendini e nervi che si rubano l’un l’altro la parola, accavallandosi nei rapidi passi di danza. Non immaginavo che tra la schiena e le cosce di un uomo ci fossero tanti muscoli vivi tutti dotati di voce propria. Tendo le orecchie: simili guizzi muscolari li ho ascoltati in vita mia solo nei disegni di Michelangelo. Anche se lì non danzavano, mi sembra di ricordare. Mi giro a occhi spalancati verso Mauro, che ride: «Scommetto che adesso la pensi come la Colombina». Metto da parte il binocolo e torno a sentire l’orchestra.
Quando alla fine il sipario si chiude, i due ballerini escono tenendosi per mano e si lasciano ammirare lungamente da noi mortali. Sono immobili, ma i loro corpi sono ancora in tensione e l’aura che diffondono intorno veramente li fa sembrare simili a dèi.
Bolle si inchina alla sua compagna. La Zakharova è stata bravissima, leggera come una farfalla, e mi viene in mente quello che diceva Ginger Rogers, quando le chiedevano se fosse brava quanto Fred Astaire: «Mah, faccio tutto quello che fa lui, però all’indietro e sui tacchi a spillo. Veda lei». Saluta il pubblico, ma non sorride. È celestiale. Vorrei solo che non fosse così magra.

Perché Cattelan ha fatto bene a mandare “I soliti idioti” al posto suo

Maurizio Cattelan, invitato a ricevere il premio Alinovi-Daolio all’Accademia di Belle Arti di Bologna, ha mandato al posto suo il duo comico “I soliti idioti”, che hanno inscenato, di fronte alla giuria sbalordita e indignata, una performance a base di gag dissacranti.
Dare un premio a Cattelan, che è l’artista italiano più famoso e quotato nel mondo, è un gesto completamente inutile. Nulla aggiunge alla fama di Cattelan che non ne aveva alcun bisogno, nulla aggiunge all’acculturamento del pubblico che lo conosceva già perfettamente e nulla aggiunge, infine, al prestigio della giuria che gliel’ha assegnato, perché non c’è bisogno di essere grandi critici d’arte per dire, oggi, che Cattelan è bravo.

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