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Fabrizia Ramondino, una grande scrittrice in un’Italia che ha sempre avuto problemi con le donne

[«L’Huffington Post», 22 luglio 2016]

Diceva Benigni, quando nei suoi spettacoli faceva Dio che, tornato sulla Terra, si stupiva di come i fedeli avessero frainteso i suoi insegnamenti: “Ho l’impressione che abbiate un problema con le donne”. In Italia, è noto, abbiamo un problema con le donne. Viviamo in un paese in cui l’uso di termini al femminile come sindaca e ministra causa una levata di scudi e sorrisi di compatimento, e infatti le sindache vengono chiamate “bamboline” e alle ministre si consiglia di occuparsi di cellulite piuttosto che di riforme istituzionali. In un paese come questo, è normale pensare alla grande letteratura come a un fatto di uomini.

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Il cinema del reale di Cecilia Mangini

[«L’Huffington Post», 30 marzo 2016]

La Clef, nel 5ème arrondissement di Parigi, è un piccolo cinema d’essai che dedica volentieri rassegne al cinema italiano. Lo frequenta una nicchia di amatori che si ritrova alla spicciolata come si fa in un gruppo di amici. Qui va in scena l’anteprima del Festival di cinema italiano Terra di cinema, giunto alla XVI edizione, che aprirà i battenti il 30 marzo. Curata da Irene Mordiglia e dagli studenti di Paris III, la serata propone sette cortometraggi di Cecilia Mangini, presente come ospite della serata.

Cecilia Mangini è una bella ed elegante signora che ha mantenuto la magrezza e la risata della gioventù. È stata la prima donna a girare documentari artistici nel secondo Dopoguerra e ha fatto la storia del cinema italiano. Incontrarla lascia un’emozione profonda, come guardare il volto fiero dell’Italia di una volta: diritta come un fuso a sdegno della curvatura sulle spalle, pantaloni neri e borsa di pelle a tracolla, mantiene intera la sua vitalità d’artista.

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Essere quarantenni senza essere #matteorenzi

[«L’Huffington Post», 16 marzo 2016]

“La lotta tra serietà e dannunzianesimo è antica e senza rimedio”, scriveva Piero Gobetti nella Rivoluzione liberale. A distanza di quasi cent’anni quest’affermazione è più vera che mai, come mostra l’ultimo libro di Claudio Giunta, Essere #matteorenzi, appena uscito per il Mulino.

Per un quarantenne è difficile prendere sul serio un altro quarantenne, scrive Giunta; un ventenne immagina che il Presidente del Consiglio ne sappia molto più di lui, e un sessantenne pensa di non capire perché sente di non essere più al passo con i tempi, ma “un quarantenne sa quando Matteo Renzi ha imparato parole di gomma come brainstorming, digital divide, CEO, duepuntozero; sa come suonavano strane all’inizio;

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Storia della provincia apuana: quella terra bella, bianca e tradita

[«L’Huffington Post», 26 giugno 2015]

Quella domenica d’estate me la ricordo bene. Era il 17 luglio 1988 e fui svegliata al mattino presto dallo squillo insistente del telefono. Era la mia amica Laura, che mi svegliava per darmi l’allarme: “È scoppiata la Farmoplant, fuggite tutti al più presto.” In casa mia dormivano ancora tutti e io rimasi un lungo momento con in mano la cornetta che ormai faceva “tu-tu-tuuu”. Sapevo bene che cosa significava. Da anni, ormai, a scuola facevamo scioperi e cortei per chiedere la chiusura di quella fabbrica, che nella zona industriale di Massa lavorava prodotti chimici tossici. Nessuno sapeva con certezza quali sostanze vi fossero trattate – rogor, cidial – ma sapevamo che, se si fosse verificato un incidente, avremmo rischiato di diventare una nuova Seveso.

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