[L’Huffington Post, 12 maggio 2014]
Se la storia insegnasse qualcosa, il Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli del 1799 di Vincenzo Cuoco è uno di quelli libri che la classe politica di questo Paese, quella che mira a fare le riforme – il giovane Matteo Renzi, per esempio – dovrebbe tenere sul comodino. Cuoco spiega perché le rivoluzioni, in Italia, falliscono e perché sia così difficile da noi portare a compimento un processo riformatore.
Si impara, leggendolo, che è un vecchio vizio della classe dirigente italica quello di voler trapiantare da noi modelli costituzionali importati dall’estero, e che quando si vogliono davvero fare le riforme bisogna partire dall’analisi concreta della realtà, e ad essa adattare gli ideali e le azioni, non viceversa.
Cuoco insegna che quando si fanno le riforme non bisogna parlare solo alle êlites e soprattutto non bisogna lasciare indietro nessuno, altrimenti la frattura che nascerà tra il popolo e le punte riformatrici intellettuali ed economiche sarà il primo motore del fallimento. Cuoco ci ricorda, inoltre, la lezione degli antichi che l’ottimo è nemico del bene e chi vuol tutto riformare, tutto distrugge.
Del Saggio storico è appena uscita, per Laterza, un’edizione curata da Antonino De Francesco, il cui pregio più grande è quello di mostrare, direi in maniera definitiva, come l’opera sia da leggersi nella prima redazione, pubblicata da Cuoco nel 1801, e non nella seconda, uscita nel 1806, quando il clima politico ormai mutato lasciava margini ben più ristretti di intervento ai riformatori italiani.
È su quest’ultima che si è creata la vulgata storiografica di un Cuoco caposcuola del moderatismo politico dell’Ottocento, mentre la lettura di De Francesco colloca il Saggio nel solco della letteratura del democratismo francese, temperato dallo studio di Machiavelli e di Vico. La prima redazione rivela infatti come il Saggio sia un intervento militante calato all’interno del dibattito del patriottismo repubblicano più sensibile alle istanze democratiche e alle rivendicazioni di carattere sociale.
Cuoco fu un intellettuale di grande calibro, quello che con più lucidità, nella generazione di passaggio tra il Triennio giacobino (1796-99) e l’età napoleonica, fu capace di analizzare le motivazioni profonde della sconfitta dei rivoluzionari e al tempo stesso comprendere la necessità di operare all’interno della nuova statualità napoleonica per proseguire nel percorso del rinnovamento. L’azione politico-culturale si sviluppava allora su un doppio livello, senza contraddizione tra l’essere patrioti antifrancesi e tuttavia filonapoleonici, tra l’operare come funzionari sotto Bonaparte e coltivare progetti di unità e indipendenza nazionale.
La sconfitta dei movimenti democratici e la progressiva obbligata riduzione del perimetro all’interno del quale poter operare interventi di riforma sembra quasi un destino nella lotta politica del nostro Paese. È una congiuntura che nella storia italiana si è presentata altre volte nel corso dei secoli, oltrepassando il mutare delle classi sociali e dei sistemi economici. Nei decenni drammatici del passaggio tra la Repubblica e il Principato nella Firenze del Cinquecento, il ralliement con il potere ducale mediceo fu per molti intellettuali la via per imprendere una azione culturale di portata “nazionale” e infatti non a caso, anche allora, ci si mosse su un doppio livello, di fedeltà al Principe da un lato e di mantenimento degli antichi legami politici, culturali e religiosi dall’altro.
Cuoco, alla vigilia della stagione risorgimentale, comprese che per costruire un’identità nazionale era necessario gettare le fondamenta di uno “spirito pubblico”, ossia di una coscienza civile condivisa degli italiani, e si adoperò a farlo con l’attività di giornalista, romanziere e funzionario.
Resta a suo onore, fra le molte azioni intraprese, un progetto di riforma della pubblica istruzione nel Regno di Napoli improntato a criteri fortemente democratici, persino per i tempi odierni, che gli innumerevoli ministri dell’istruzione che ogni anno si susseguono dovrebbero leggersi, per non dimenticare quante battaglie è costata alla patria la creazione di un sistema di istruzione elementare, media e universitaria di alto livello e accessibile a tutti, e quanto sia dissennato distruggerlo per insipienza, miopia politica e furore ideologico.
Quando il sogno di fondare una nazione moderna fallì definitivamente, con la caduta di Napoleone e il ritorno dei Borboni a Napoli, Cuoco non resse al dolore, e la sua mente perse saldezza e lucidità, fino alla pazzia.
Il Saggio storico esce come settimo volume di una collana di Scritti editi e inediti promossa dall’Associazione Vincenzo Cuoco di Campobasso che, iniziata nel 2006, ha visto la pubblicazione del romanzo Platone in Italia, dell’Epistolario, delle Pagine giornalistiche, degli Scritti di statistica e di pubblica amministrazione, Sulla pubblica istruzione e Politico-giuridici, e sta per giungere a compimento con l’uscita, prossima, dell’Utilità della storia. Ad uso del saggio lettore.