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Essere quarantenni senza essere #matteorenzi

[«L’Huffington Post», 16 marzo 2016]

“La lotta tra serietà e dannunzianesimo è antica e senza rimedio”, scriveva Piero Gobetti nella Rivoluzione liberale. A distanza di quasi cent’anni quest’affermazione è più vera che mai, come mostra l’ultimo libro di Claudio Giunta, Essere #matteorenzi, appena uscito per il Mulino.

Per un quarantenne è difficile prendere sul serio un altro quarantenne, scrive Giunta; un ventenne immagina che il Presidente del Consiglio ne sappia molto più di lui, e un sessantenne pensa di non capire perché sente di non essere più al passo con i tempi, ma “un quarantenne sa quando Matteo Renzi ha imparato parole di gomma come brainstorming, digital divide, CEO, duepuntozero; sa come suonavano strane all’inizio;

sa da dove gli arrivano tutti gli pseudo-concetti, le semplificazioni, il kitsch, la retorica […] che scambia gli slogan motivazionali con le buone intenzioni, e le buone intenzioni con la capacità di metterle in pratica, e posandosi sui concetti li svuota di senso e di aderenza alle cose, e li trasforma in arnesi da imbonitore”.

E proprio sul linguaggio di Renzi e sulla sua tecnica comunicativa è incentrato il libro. Giunta analizza l’intervento di Renzi al Festival dell’Economia di Trento, la sua performance che contamina i linguaggi, fagocita gli intervistatori inducendoli a fargli da spalla ed elude le domande evocando questioni più importanti, finché il pubblico se ne dimentica e si lascia trasportare dalla suggestione dello storytelling.

Ingrediente fondamentale affinché l’operazione riesca è l’ottimismo, in mancanza del quale si è Gufi: Renzi è un virtuoso dell’AMP (Atteggiamento Mentale Positivo) e un nemico giurato dell’AMN (Atteggiamento Mentale Negativo); ha un totale disinteresse per il vero e il falso della storia, ma una venerazione per alcuni personaggi storici, accanto ai quali non sfigurano affatto quelli d’invenzione, da Mila e Shiro a Fonzie, perché il passato non serve a capire il presente, come ripetono noiosamente i Professori, ma a motivarci con gli esempi di quelli che “ce l’hanno fatta”. La sua rievocazione fantasiosa di Dante, nel libro Stil novo, serve a ricordare le meraviglie passate della città di Firenze, ma quello che vuole è “narrare una città che non declini i propri verbi solo al passato, che sia capace di respirare il profumo del domani”.

E poiché l’ingrediente indispensabile perché la ricetta funzioni è il “fare”, che affonda le radici nella declinazione scoutistica del cattolicesimo renziano, ai Gufi e ai Professori si affiancano i Politici, che si perdono in chiacchiere invece di agire. Dunque meglio una riforma qualunque che nessuna riforma: se non si può dragare lo stagno, almeno gettiamogli un sasso dentro, che costringa i ranocchi a nuotare, senza lasciarli gracchiare in pace, quegli scansafatiche!

L’entusiasmo di Renzi è convincente e diventa psicodramma alla Leopolda, nell’intervento del ventenne Matteo da Gorgonzola (“Se la grandezza di un uomo dipende dalla grandezza dei suoi sogni, noi siamo tutti dei giganti! E quando qualcuno ci dice ‘non ce la farete’, noi risponderemo ‘sta a guardare”).

Ma attenzione, questo non è un libro sulla “politica” di Renzi, e non vuole esserlo: non discute, volutamente, nessuna delle leggi fatte o annunciate dal governo Renzi nel corso di un anno.

E dunque non deve essere frainteso, e per non fraintenderlo bisogna cogliere il senso dell’avvertenza finale, nella quale Giunta dice che, in fondo potrebbe anche votarlo, Matteo Renzi, per diverse buone ragioni. La prima delle quali è la sostanziale sfiducia, che ha in comune con molti quarantenni – quelli, beninteso, per loro sfortuna non rieducabili con l’AMP -, nelle capacità effettive della politica, molto meno rilevante, nei cambiamenti che avvengono nella nostra società, della tecnica e dell’economia; la seconda è che “Renzi ha opinioni spesso ragionevoli, come le hanno più o meno tutti, ma a differenza di più o meno tutti sembra possedere la tenacia e la serena incoscienza per mettere in pratica qualcuna di quelle idee, in modo che ne esca un effetto positivo non in relazione ai problemi reali che dobbiamo affrontare, che stanno ormai al di là della portata della politica, ma in reazione a certe piccole questioni di contorno, a certi ingranaggi del macchinario”.

Il libro, dunque, forse non piacerà a quelli che criticano la politica di Renzi. Ma ciò è irrilevante, perché leggere Claudio Giunta serve invece a questo: a ricordarsi, quando è forte la tentazione di lasciarsi affondare, che l’esercizio critico dell’intelligenza basta, da solo, a farci tornare la voglia di tenere alta la testa ancora per un po’.

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