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Il cinema del reale di Cecilia Mangini

[«L’Huffington Post», 30 marzo 2016]

La Clef, nel 5ème arrondissement di Parigi, è un piccolo cinema d’essai che dedica volentieri rassegne al cinema italiano. Lo frequenta una nicchia di amatori che si ritrova alla spicciolata come si fa in un gruppo di amici. Qui va in scena l’anteprima del Festival di cinema italiano Terra di cinema, giunto alla XVI edizione, che aprirà i battenti il 30 marzo. Curata da Irene Mordiglia e dagli studenti di Paris III, la serata propone sette cortometraggi di Cecilia Mangini, presente come ospite della serata.

Cecilia Mangini è una bella ed elegante signora che ha mantenuto la magrezza e la risata della gioventù. È stata la prima donna a girare documentari artistici nel secondo Dopoguerra e ha fatto la storia del cinema italiano. Incontrarla lascia un’emozione profonda, come guardare il volto fiero dell’Italia di una volta: diritta come un fuso a sdegno della curvatura sulle spalle, pantaloni neri e borsa di pelle a tracolla, mantiene intera la sua vitalità d’artista.

I suoi lavori sono uno spaccato vivo dell’Italia contadina e operaia dal boom economico degli anni Cinquanta alla crisi dei primi anni Settanta. I primi tre cortometraggi sono frutto della collaborazione con Pier Paolo Pasolini, autore e voce del commento: Ignoti alla città, girato nel 1958, tratto da Ragazzi di vita, mostra la vita dei giovani delle borgate romane; in Stendalì, suonano ancora (1959) le donne del Salento cantano e gridano la disperazione della morte di un fanciullo recitando il rito funebre in griko; un vero capolavoro è La canta delle marane (1961), in cui un ritmo vorticoso accompagna i giochi d’acqua sfrenati dei ragazzini smilzi e affamati di periferia.

Le dinamiche della religiosità collettiva sono magnifiche e grottesche nel Divino amore (1963), con le riprese al santuario della Vergine alle porte di Roma, prive di commento ed esaltate solo dalla musica. La fabbrica è invece il sogno di Tommaso (1965), che gira di nascosto sulla moto del padre e spera di essere assunto allo stabilimento petrolchimico della Monteshell di Brindisi, miraggio di lavoro e benessere.

Il mutamento sociale degli anni Settanta è registrato da Cecilia Mangini negli ultimi due documentari. Protagonista della Briglia sul collo (1972) è Fabio Spada, un bambino di sette anni irriverente e indisciplinato, incapace di adeguarsi al comportamento richiesto dalla scuola. Indimenticabili le testimonianze del direttore scolastico e della maestra, i quali con sincera abnegazione si industriano a recuperare alla società il disadattato.

L’ultimo documentario che vediamo, V&V, è del 1973 e racconta l’intimità di una coppia di giovani studenti decisi a vivere insieme senza matrimonio nell’Italia postsessantottina. E non si riesce a non sorridere di tenerezza, ricordando che il privato era politico, quando lei lava, pettina e asciuga i capelli lunghi di lui, e poi lui, parlando di Che Guevara, ben munito di guanti lava i piatti.

Alla fine della proiezione gli applausi del pubblico sono caldi e la regista indugia volentieri a raccontare le circostanze in cui i lavori sono nati. Ha un simpatico accento toscano, ma quando si rivolge alla platea parla con molta naturalezza un francese non perfetto, che marca subito la sua appartenenza a un tempo in cui era impensabile per una persona colta non conoscerlo, e per questo si studiava a scuola.

Parla, Cecilia Mangini, e racconta della collaborazione con Pasolini, del suo generoso impegno con lei all’epoca sconosciuta. Si commuove ricordando il sodalizio artistico con il compagno della sua vita, Lino Del Fra, e la musica di Egisto Macchi, anima e forza di molti suoi lavori. Racconta aneddoti, come quello sul ragazzo che aveva recitato nella scena funebre di Stendalì, il quale, anni dopo, cresciuto e in piena forma, la incontrò per caso e la abbracciò urlando giovialmente: “Sono il morto, sono il morto!”

Tra il pubblico un ragazzo orientale si interessa al destino di Fabio, una spettatrice francese chiede dove la regista poserebbe lo sguardo, se dovesse fare un documentario oggi, e Cecilia risponde di averne girato uno appena due anni fa con Mariangela Barbanente, un viaggio nella Puglia contemporanea. Spiega con pazienza al pubblico non italiano che cosa ha fatto l’Ilva di Taranto alla popolazione affamata di lavoro e racconta degli operai e dei bambini morti di cancro.

Alla fine della serata l’appuntamento, per chi vuole conoscere meglio questa grande donna del cinema italiano, è per luglio alla Festa di cinema del reale di Specchia (Lecce), curata da Paolo Pisanelli, autore anche di un film sui reportage fotografici di Cecilia, un cui impressionante estratto, sulle foto scattate alle cave di pomice di Lipari negli anni Cinquanta, ha potuto vedere in anteprima il pubblico del cinema La Clef.

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