Dopo trentacinque anni d’amore contrastato, clandestino, infine conclamato, ancorché tra lo sdegno dei benpensanti, il principe Carlo d’Inghilterra e Camilla Parker Bowles si sono uniti in matrimonio di fronte all’autorità civile e hanno ricevuto la benedizione religiosa nella cattedrale di Saint-Paul. L’evento è andato in onda sabato pomeriggio su RaiUno, nell’ambito del programma di Michele Cocuzza ‘La vita in diretta’. Freddine le reazioni degli ospiti in studio, tra i quali la signora Ripa di Meana, più che altro segnate da giudizi irridenti sull’età non più verde dei convolanti a nozze e sulla dubbia eleganza della sposa. Il commento da Londra era di Antonio Caprarica, corrispondente Rai e grande conoscitore di cose inglesi, dal quale forse sono venute le uniche parole di apprezzamento per le doti di sensibilità e intelligenza di Carlo. E tuttavia è sembrato che anche a lui costasse qualche sforzo morale la riabilitazione di quell’amore adulterino che aveva coinvolto fatalmente l’erede al trono.
Ci sia concessa, allora, qualche considerazione in margine all’evento mediatico, per brindare alla salute degli sposi e levare una voce a favore di Camilla, definita dalla stampa inglese più simpatizzante il ‘Rottweiler’.
Pare proprio che nulla sia stato risparmiato a questa coppia attempata, né l’esclusione dal matrimonio religioso né il pubblico pentimento per i propri peccati recitato nella preghiera scelta per il rito della benedizione dall’arcivescovo di Canterbury (si dice non senza lo zampino di Sua Maestà). Negativo il giudizio della stampa scandalistica sulla donna che ha tenuto per tutta la vita le chiavi del cuore dell’erede al trono, giudicata da sempre priva di stile e di fascino, e riduttivo anche il giudizio sulla personalità di Carlo, dipinto come succube della tenacia muliebre. Il quale Carlo, tuttavia, ha da essere uomo d’intelletto, evidentemente, se potendo conquistare con il suo titolo e la sua notorietà ogni soubrette, attricetta o modella ventenne è restato fedele per sette lustri a una signora più anziana di lui, dai tratti cavallini e dalla falcata guerriera (ma di Camilla i più accorti e meglio informati conoscono anche l’autoironia decisamente inglese e la fedeltà innata ai valori della corona), signora che dobbiamo, per coerenza di ragionamento, supporre dotata di qualità intellettuali e caratteriali almeno commensurabili.
Quando si sono conosciuti e amati per la prima volta avevano rispettivamente ventidue e ventitré anni, ma lui era un ragazzo che doveva ancora fare il militare e lei, troppo saggia fin già da allora, sapeva bene di non avere speranze di farsi impalmare (per almeno due buoni motivi, dicono i competenti, perché non era illibata e perché non era protestante). Camilla ha obbedito allora alla ragione sociale del matrimonio con un ufficiale buon uomo e Carlo, più tardi, si è piegato alla ragion di stato che gli chiedeva di dare ai suoi sudditi una principessa da favola, quale appunto sembrava essere Diana Spencer. Ma provatevi voi a tenere lontani due che si cercano a dispetto del tempo e della convenienza! Si è trattato in verità di una grande passione, carnale, come ogni vera passione ha da essere (che cos’altro stava a significare, altrimenti, la famosa dichiarazione telefonica ignobilmente finita sui tabloid ‘Vorrei essere il tuo tampax’!) e non effimera. E allora, se due persone adulte e nel pieno delle proprie facoltà vogliono stare insieme, perché l’universo mondo continua a trovare degli ‘impedimenti dirimenti’ per ostacolarli? Se un rimprovero si può fare ai due amanti, è di aver probabilmente pensato, per un po’ di tempo, di poter rinnovare l’abitudine, comune a tutti i regnanti del passato, di tenere in vita matrimoni puramente di facciata, avendo al contempo un’amante ufficiale, una favorita (ma come ben si capisce, si tratta di un peccato iscritto nell’antico sistema di valori della monarchia). A disilluderli ha pensato Diana che per ironia della sorte era, a differenza della spregiatissima Camilla, del tutto priva dei valori necessari a una futura regnante, ossia il rispetto della forma, del silenzio e dell’abnegazione, e non ha mai avuto alcuna intenzione di sacrificare la propria felicità alla ragion di stato. Paradossalmente, proprio le qualità che l’hanno fatta amare dal popolo, la sua giovinezza e spontaneità, l’hanno resa inadatta da subito al suo ruolo di principessa.
Certo, la storia di Diana, dolorosa per i protagonisti, finita tragicamente, è stata un gran pasticcio e un grande danno mediatico per la corona inglese, ma vogliamo dirlo una buona volta che la maggiore responsabile di tutto ciò è stata la Regina? La quale, se avesse avuto un po’ più di lungimiranza e di umiltà, avrebbe capito, dopo i primissimi anni di matrimonio, che Camilla era molto più adatta di Diana a rivestire il ruolo di futura regina, per il semplice fatto che lei sì, era perfettamente iscritta nel sistema di valori della monarchia. Basti osservare che in tanti anni di pettegolezzi, maldicenze e amarezze non ha mai rilasciato interviste ai giornali, pagando il prezzo di farsi detestare dall’opinione pubblica, mentre sarebbe stato ben facile lamentarsi a gran voce degli ostacoli posti al vero amore e gettare discredito sull’insensibilità della famiglia regnante, laddove l’altra, pace all’anima sua, non ha mai perso occasione per parlare male apertamente della suocera né per rendere pubbliche le proprie relazioni extraconiugali. Se la Regina avesse capito questo, avrebbe potuto procurare un gran bene alla corona affrettando il divorzio tra i due mal assortiti e procedendo il più rapidamente possibile alla regolarizzazione del rapporto tra gli amanti (è o no erede del grande Enrico VIII?), risparmiando così molte umiliazioni al suo figlio primogenito e disinnescando, forse, la mina che la tragica morte di Diana ha rappresentato per la rispettabilità e l’esistenza stessa della monarchia inglese. Ma che cosa aspettarsi da una ingombrante e sussiegosa sovrana che si veste di bianco il giorno delle seconde nozze di suo figlio, oscurando la novella sposa senza peraltro rivolgerle neppure la parola sul sagrato della chiesa dopo la cerimonia?
Pare che Carlo abbia fatto sapere che, nel caso della sua ascesa al trono, Camilla riceverebbe il titolo di principessa consorte, in luogo di quello di regina, per rassicurare forse i diffidenti, visto che i sondaggi dicono che gli Inglesi continuano a preferire il giovane William sul trono al posto del padre, successivamente alla dipartita dell’attuale regnante. Ma la volontà popolare, si sa, è volubile e basta veramente poco per indirizzarla verso le giuste inclinazioni. Se Camilla saprà, come riteniamo, proporsi al pubblico mostrando qualità non corrodibili dal tempo, quali la solidità, l’affidabilità, l’attaccamento ai valori del buon tempo antico che certamente le appartengono, non mancherà di acquistarsi il rispetto e l’affezione dei futuri sudditi. L’ideale dei primi anni Ottanta, che sembrano ormai lontani anni luce, poteva ancora essere quello della principessa bella e giovane che andava sposa su un cocchio trascinato da cavalli, ma a terzo millennio ormai iniziato Camilla, non giovane, non bella, ammiccante ancor meno, potrebbe rappresentare un modello di riferimento, di tenacia e di intelligenza, per le donne di oggi che hanno ormai posticipato a dopo i cinquanta il raggiungimento dei loro obiettivi sentimentali, avendo prima ben altro da fare.
Così, se è vero quel che si usa dire, che un giorno al mondo resteranno solo cinque re, il re di cuori, il re di picche, il re di denari, il re di fiori e il re d’Inghilterra, osiamo esprimere una previsione che sappiamo oggi apparire azzardata, ma è senz’altro ben più di un auspicio: Carlo sarà re (e avremo così un sovrano inglese che ama l’Italia, che conosce la nostra cultura tanto da aver dichiarato un giorno che la città in cui avrebbe desiderato vivere, quella più a misura d’uomo, era Pienza, incarnazione dell’ideale urbanistico rinascimentale toscano) e Camilla sarà regina, perché è la compagna della sua vita e perché possiede tutte le doti richieste a una regnante, in barba alla beltà, alla giovinezza e a tutti i residui cliché pseudoromantici che fastidiosamente ancora ci assillano.